Regole della professione

di Vittorio Roidi

Il giornalismo non ha mai avuto solide basi teoriche. Per secoli è stato vissuto e visto come un’attività il più possibile libera e libertaria, che i potenti cercavano di controllare e che i cittadini utilizzavano per conoscere i fatti della vita. Le moderne democrazie hanno poi capito che la libertà di espressione e con essa il giornalismo erano fra i requisiti fondanti degli ordinamenti giuridici. Ma pochi paesi hanno regolato l’attività giornalistica.

L’esplosione di Internet ha allargato il campo della circolazione delle idee, che fino a quel momento si erano diffuse grazie alla carta stampata, allo schermo televisivo e alle onde radio. Il web ha ora offerto un ambiente infinito e meraviglioso, adatto anche ad una comunicazione interpersonale.
Nel secolo scorso il giornalismo ha tentato di irrobustirsi attraverso organizzazioni industriali, che in qualche caso hanno dato vita a colossi dell’editoria, ma che raramente hanno prodotto utili, sia per i grandi che per i piccoli competitori. Le vendite in edicola e la qualità delle notizie non sono bastate. Il salvataggio dei bilanci è avvenuto grazie alla pubblicità, una dea – non sempre generosa e a ben vedere inquinante – alla quale tutti hanno fatto ricorso.

I giornalisti si trovano ad operare in un quadro sempre più confuso. Mai come oggi erano state così deboli la loro immagine e la loro forza contrattuale. Gli organismi rappresentativi della categoria, Federazione della Stampa e Ordini (nazionale e regionali), hanno difeso con i denti la libera stampa da bavagli e censure di ogni sorta, nonché dai colpi di un mercato del lavoro che immiserisce e umilia le prestazioni di migliaia di colleghi.

Eppure è ormai chiaro a molti che la democrazia è salda solo in presenza di un giornalismo libero, robusto, non casta ma categoria professionale impegnata a garantire un’informazione pluralistica e veritiera. La piattaforma sulla quale questa attività deve poggiare, nel rispetto del dettato costituzionale, si basa sull’indipendenza intellettuale (in una nazione in cui quasi la maggioranza dei giornalisti è dipendente, mentre scarsi sono i free lance) ma anche sul rispetto della verità e dei diritti delle persone.

La credibilità dei giornalisti ha bisogno dunque di una solida consapevolezza etica. Un giornalismo al servizio del cittadino e del pubblico interesse, al di là delle aspettative, dei diritti, dei sogni di coloro che intraprendono questa appassionante attività. Il giornalismo che serve alla democrazia è quello che lavora per la collettività. Ecco il giuramento che ogni collega dovrebbe prestare.
Ad una chiara concezione etica devono accompagnarsi regole deontologiche che tengano conto delle evoluzioni della cultura, del costume e della società. Anche gli industriali dell’editoria hanno capito che l’impresa giornalistica, per essere autorevole, deve reggersi su precisi doveri. Per questo, tutte le grandi testate (con in testa il New York Times, il Washington Post, la Bbc, la Rai) si sono date un corpo normativo, che chiedono ai propri giornalisti di condividere e di rispettare. Ed è da qui che deve partire il rilancio del giornalismo, anche nel nostro paese.