Addio a Sandro Petrone, maestro di giornalismo

di Antonio Bagnardi

Sandro Petrone ci ha lasciato. Si è spento a 66 anni dopo aver lottato con tutta la sua intelligenza, con tutta la sua energia e sempre con il sorriso, con l’ironia, con l’ottimismo, contro un tumore che non gli ha dato tregua.

Sandro è stato un maestro del giornalismo televisivo. Per tanti anni è stato il docente di punta della nostra Scuola. Sapeva e aveva l’indole giusta – la pazienza, l’empatia – per trasmettere ai giovani la sua sapienza. I suoi libri, come “Il linguaggio delle news”, sono testi fondamentali per chi vuole imparare le tecniche del giornalismo in tv. Ma la parola “maestro” non è un modo generoso per salutare un nostro insegnante o per dire addio a un collega. Sandro era un giornalista vero, senza difetti, sapeva che cos’è il racconto del cronista, conosceva il valore dell’onesto resoconto e la potenza viva delle immagini colte sul campo, là dove i fatti stavano accadendo, e non si è mai tirato indietro nemmeno davanti al rischio della propria vita.

Al Tg2, dove aveva trascorso più di vent’anni della sua carriera, è stato inviato, corrispondente, conduttore, capo della redazione esteri. Impeccabile, preparatissimo, sempre attendibile. Ma i giorni trascorsi in redazione non sono stati molti. Sandro era quasi sempre nel teatro dei fatti, andava sul posto, andava in guerra: il Kuwait, l’Iraq, l’11 settembre, il Libano, la ex Jugoslavia.

Memorabili furono i suoi reportage dal Kosovo. Non c’era reportage che non fosse preciso e, pur in quel rigore del ragguaglio, non c’era reportage che non fosse intriso di umanità, di pietas per le vittime, per gli ultimi, come solo i migliori giornalisti sanno fare.

Sandro era un galantuomo, raffinato, sensibile, con la tipica discrezione dei migliori; senza pregiudizi, una mente apertissima al mondo, laica, curiosa, un uomo colto. E amava anche la musica. Anzi, la musica era essenziale per lui come il mestiere di inviato. Sandro era un vero giornalista e un vero musicista, e aveva sempre in tasca il taccuino e la sua armonica a bocca.

Tutta la sua vita si era svolta tra Napoli, Roma e Taranto (era nato a Napoli, aveva legami familiari con Taranto, viveva a Roma), ma nelle sue vene scorreva quel crogiuolo musicale che aveva condiviso, fin da ragazzo, con Edoardo e Eugenio Bennato, con Enzo Gragnaniello, con Tony Cercola, con Maria Pia De Vito, con Martino De Cesare. Non aveva mai abbandonato la musica, il blues era dentro di lui. Aveva continuato a comporre e a suonare ogni volta che poteva, in viaggio, in vacanza, di notte. Le sue raccolte musicali testimoniano della sua intensità, le sue “note di un inviato” (così le chiamava) rimandano quel nesso melodico, antico, che annodava le sonorità di Napoli all’altrettanto amata terra, martoriata e profumata, del Libano.

Andate a cercare su internet uno dei suoi brani più belli e delicati: “Nel mare di Tiro”. Per noi, è la colonna sonora di questo addio.