La Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo è ubicata in una splendida Villa Settecentesca, situata su una collina che domina Ponte Felcino, frazione di Perugia.
La Scuola dispone di Foresteria, Biblioteca e delle tecnologie più avanzate per la formazione nei campi radiofonico e televisivo e ha ottenuto la certificazione di qualità.
Undici luglio 1970: viene pubblicato il testamento di Mario Bonucci Carletti, morto senza eredi.
Secondo le sue volontà nasce la Fondazione a lui intitolata che comprende le proprietà di Villa Orintia di Ponte Felcino, il Piano Nobile e la Sala dei legisti di palazzo Baldeschi a Perugia. Il testamento nomina sei fondatori tra i quali viene suddiviso il patrimonio, in cambio dell’impegno a perseguire gli scopi della Fondazione.
Mario Bonucci pensava di destinare palazzo Baldeschi a scopi culturali mentre per la sua residenza di campagna sognava un ricovero estivo per anziani benestanti e culturalmente impegnati. Un progetto di difficile realizzazione. L’impiego della villa fu quindi concordato con l’Università di Perugia. Dopo varie ristrutturazioni negli anni Ottanta, dal 1992 la Villa ospita la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo.
Dell’illustre stirpe che abitò quella che oggi è una Scuola, molto si ignora: chi sa parla poco per rispetto, con un velo di nostalgia negli occhi. Il fattore, il contadino, un falegname ormai anziano. Gente che dei Bonucci-Carletti fu fedelmente a servizio e a loro molto deve della propria fortuna.
Ma il luogo racconta, i personaggi si rispecchiano nelle larghe vasche del giardino, suggeriscono tra quelli che un tempo furono filari di pioppi, in parte distrutti da un incendio. A cominciare da Napoleone e Orintia. Lui, tenebroso latifondista, amante dei viaggi e delle lettere. Lei, nobile fiorentina abituata ad entrare a Palazzo Pitti in carrozza. Un matrimonio d’amore, raccontano, che diede vita alla stirpe Bonucci Carletti. Due figli, due diversi destini. Alessandro, uomo di cultura di cui ancora si ricorda il genio nella targa della Scuola elementare di Ponte Felcino da lui costruita e a lui dedicata.
L’altro fratello, Mario, prese invece dal padre Napoleone lo spirito imprenditoriale. Grande imprenditore agricolo, fondò con il cugino il primo impianto del lanificio, dove oggi sorgono le Manifatture Pontefelcino. Consapevole dell’entità della sua fortuna seppe essere padrone con generosità. Si innamorò di una donna dagli umili natali, Eugenia Pimpinelli. In dote non offriva altro che la sua bellezza. Fu sufficiente per sposarla e portarla con sé nel suo palazzo di Perugia. Lei, dolce e paziente, gli sarebbe rimasta al fianco fino alla morte di lui, nel 1970. Nella residenza di campagna soggiornava soprattutto d’estate, sede principale dei suoi affari.
Al pianterreno della villa c’erano la biblioteca e l’ampio studio.
Dove oggi c’è la sala di rappresentanza, il Signorino, come lo chiamavano con rispetto anche dopo sposato, teneva i suoi vini più pregiati.
Al primo piano c’erano le stanze da letto, la cucina e la sala da pranzo, sede dell’attuale bar, mentre i piani superiori erano riservati alla servitù.
Completava l’edificio una splendida cappella, dove ogni domenica si celebrava la messa per la famiglia e la popolazione che vi accorreva numerosa.
C’erano poi la scuderia, una serra e una segheria.
Tutt’intorno vigne, irrigate da una fonte sorgiva, che spesso i due coniugi amavano raggiungere a piedi attraverso la scalinata tra i cipressi che saliva la collina.
Dalla villa si scorgeva il Subasio, si dominava la vallata del Tevere, si controllavano le vie d’accesso.
Un panorama suggestivo, ma anche un fondamentale punto strategico. Mario, in qualità di Capo sezione del Partito Nazionale fascista e Grand’ Ufficiale della Corona, offrì la sua casa ai gerarchi tedeschi, che la elessero a loro dimora.
Durante la guerra fu invece la volta degli alleati, che risparmiarono la villa dai bombardamenti, trovandovi un confortevole ricovero. La Villa ospitò anche famiglie di sfollati rimaste senza casa.
In sorte non fu data alla stirpe dei Bonucci di essere prolifica.
Così Mario, ormai anziano e senza figli, decise di fare in modo di tramandare la sua memoria con una divisione accorta del suo patrimonio. Istituì la fondazione e diede precise disposizioni testamentarie.
Non poté però immaginare che le sue terre sarebbero state in gran parte espropriate per consentire lo sviluppo di un’ampia zona industriale.