Come misurare il matrimonio tra tv e web?

di Luca Garosi*

second_screenNella storia della comunicazione ogni nuovo medium era percepito sempre come “pericoloso” per quelli più vecchi: la radio rendeva inutile e datata la lettura del giornale quotidiano, la tv doveva farla spegnere, e – infine – il web avrebbe cancellato tutti gli altri media iniziando proprio dalla televisione. Tuttavia questo processo di cannibalizzazione non è avvenuto, anzi secondo un recente studio della Fondazione Rosselli l’incontro tra le modalità comunicative con quelle di internet ha favorito nuove “forme” televisive.

In accordo con la famosa frase del sociologo canadese, Marshall McLuhan, “il mezzo è il messaggio”, la rapida evoluzione tecnologica ha reso possibile la fruizione di nuovi contenuti audiovisivi, non più esclusivi del mezzo televisivo e del salotto di casa non essendo più rigidamente definiti dal palinsesto.

Cambia dunque il modo di fare e guardare la tv. Cambiano le abitudini degli utenti e, di conseguenza, le strategie dei broadcaster. Si sviluppano nuove forme di distribuzione dei contenuti, si moltiplicano i player”, si legge nell’introduzione del libro “Cosa conta?” (il testo a cura della Fondazione Rosselli in collaborazione con Sky).

cosa_contaNel titolo è contenuta la domanda cruciale: cosa conta nella televisione contemporanea? Nello scenario descritto diventa importante chiedersi se possano essere valutate ipotesi differenti di misurazione dell’audience. La domanda viene declinata sotto diversi punti di vista: cosa conta per lo spender, per il pubblico, per il broadcaster.

Secondo la ricerca curata dalla Fondazione Rosselli, il consumo televisivo si evolve in un’ottica cross-mediale, ma la tv continua ad essere un mezzo di intrattenimento universale. La tv non conosce crisi: ha un trend di crescita che dura da anni. In Italia gli utenti della televisione – nel 2013 – continuano a coincidere con la quasi totalità della popolazione (97,3%), mentre il consumo delle web tv ha raggiunto il 22,1% e quello di mobile tv il 6,8%. In pochi anni, si legge ancora nello studio della Fondazione, dal 2007 al 2013 “un terzo del pubblico televisivo ha iniziato a seguire i programmi televisivi attraverso canali e device connessi”.

Gli operatori sono alla ricerca di nuovi modelli di business sostenibili, mentre i brand devono iniziare a fare i conti con le “conversazioni”, generate o spontanee che si generano in rete sui loro prodotti. Ormai il mondo on-line è penetrato nella vita quotidiana: in Italia si passano su internet, in media, 4,7 ore con il computer e 2,2 ore con la connessione mobile. Il tempo speso sui social media è di 2 ore, circa mezz’ora in più della media europea.

cellulare_tvL’aumento dei device connessi, delle app, dei widget per accedere a servizi on-demand e dei Personal Video Recorder ha permesso agli utenti di superare i limiti imposti dalla programmazione lineare, dalle rigidità dei palinsesti tradizionali, e di accedere ai contenuti preferiti dovunque e in qualsiasi momento della giornata.

Una ricerca di Ericsson ConsumerLab mostra come il consumo tradizionale di tv presenti due picchi durante il giorno, al mattino e la sera nel prime time, mantenendosi abbastanza basso durante il resto della giornata. Al contrario il consumo di video si mantiene più alto durante tutto il giorno, divenendo un’attività continua che si svolge ovunque e in ogni momento.

immagine_ericcson_lab

L’ambiente mediale entro cui oggi si realizza la fruizione televisiva, sta evidenziando degli elementi di novità capaci di far emergere sostanziali contraddizioni rispetto alle metodologie di misurazione sin qui adottate per l’audience. In particolare la moltiplicazione delle piattaforme abilitate alla trasmissione di programmi televisivi; la scomposizione temporale dei palinsesti permessa dai fenomeni di catch-up television; e l’emergere di pratiche di conversazione e d’interazione realizzate dai pubblici in ambienti web riferibili al consumo di contenuti televisivi, hanno totalmente ridefinito gli obiettivi e i territori d’indagine della misurazione televisiva.

Per rispondere a queste nuove sfide, diversi operatori del settore stanno realizzando innovative metodologie di misurazione tese a combinare i dati ricevuti dall’Auditel con quelli raccolti sul web. Un settore rilevante in questo senso è rappresentato dalle metodologie cross-mediali, volte al campionamento di dati riconducibili ad un medesimo contenuto e provenienti da diverse piattaforme (es. tv, pc, smartphone, tablet, console, ecc,).

Un secondo versante altamente significativo in questo ambito è rappresentato dalle ricerche sulle pratiche messe in atto dalle audience. Le più diffuse sono senza dubbio la social media listening e la sentiment analysis. Queste due metodologie vengono principalmente impiegate all’interno dei social network, giacché questi ultimi sono globalmente considerati i luoghi in cui si realizzano il maggior numero di pratiche inerenti il consumo televisivo.

social_media_listeningLa social media listening s’interessa dell’insieme di conversazioni aventi come oggetto un contenuto televisivo (buzz). Attraverso quest’indagine è possibile misurare il numero di post condivisi intorno ad un programma televisivo, la loro provenienza e la tempistica esatta della loro realizzazione. La sentiment analysis è, al contrario, una metodologia computazionale che attraverso algoritmi è capace di individuare le opinioni e i sentimenti espressi dalle audience in un dato un campione di conversazioni.

Il pubblico emotivamente e tecnologicamente coinvolto, “engaged” attraverso app e second screen, è un pubblico più attento ai contenuti (e agli sponsor) di una trasmissione, più fedele, più propenso a rimanere incollato allo schermo anche durante i break per poter continuare le conversazioni sul programma. E si tratta di un pubblico particolarmente prezioso per gli inserzionisti: sia in termini di età (è costituito in larga parte proprio da quelle fasce più giovani, che la televisione cattura con crescente difficoltà), sia in termini di cultura e status sociale.

Non è un target “facile” per un broadcaster, e anche se numericamente meno rilevante rispetto ai grandi numeri prodotti da programmi analoghi sulle reti in chiaro, ha una intrinseca qualità che lo rende sempre più interessante per chi, attraverso un “semplice” programma televisivo, vuole raggiungere una platea tendenzialmente sfuggente, ma estremamente preziosa.

* Luca Garosi è coordinatore didattico della scuola di giornalismo e del centro di formazione di Perugia. Il suo account Twitter è @lucagarosi